Rossi
DECLINAZIONE DEL MOLTEPLICE
A DECLINATION OF THE MANYFOLD
Da dove vengono? Dove vanno? Dove abitano le figure dei pannelli e dei dipinti di Lucio Rossi?
A ben vedere e capire queste figure non hanno spazio ne tempo dati perché non ne hanno bisogno. Sono misteriose e irraggiungibili perché sono incontaminata iconografia della memoria e dell’inconscio. Mimano una tridimensionalità inquietante di ludica illusione prospettica e spessore simbolico esibendo una androgina sinergia dei sessi. Irridono al colore come trucco, etnia e cerone per suscitare, come antitodo, una cromoempatia dello sguardo. Mettono in maschera la poetica sintesi dei contrari per “mascherare” e “smascherare”, velare e svelare. I materiali sono legno, cartone etc. come selezionato packaging di quella merce pregiata che sono le pulsioni sotterranee dell’io. Le sue figure “sfogliano” e “stratificano” la nostra crisi di identità vissuta come insieme di visioni parziali, come “clonazione vivente di noi stessi”. Disegnano una “realtà” addomesticata dal metodo della persuasione delle immagini che, ormai lo sappiamo, non “imitano” più ma “sono”, tout court, la “realtà”.
Qual è, dunque, il fine, il senso di queste opere? Intanto diciamo che non necessariamente debbono averlo perché l’arte non ha bisogno di giustificazioni e destinazioni d’uso. E, tuttavia, a me sembra proprio che Lucio Rossi , con la sua attività artistica voglia riscattare, per se e per noi, una riserva di icastica disponibilità alla naturalità dell’esistere, un terreno vergine, vuoto di censure e di paure, per recuperare l’innocenza del sentire. Insomma, finalmente “essere” e “apparire” nella stessa misteriosa e plurale verità dell’immagine; una verità pericolosamente prossima alla vita come ritmo emozionale di quella che all’inizio del discorso abbiamo chiamato “una declinazione del molteplice”.
Italo Evangelisti
Where do they come from? Where are they going? Where do the figures in Lucio Rossi’s panels and paintings live?
If we look at them well and can understand them, these figures have neither a given space nor time because they have no need for it. They are mysterious and unreachable for they are an uncontaminated iconography of memory and unconsciousness.
They mime a disturbing threedimensionality of playful perspective illusion and simbollyc thickness exhibiting androgenous synergy of the sexes. They mock colour like a trick, ethnics, make-up to arouse, as antidote, a cromoempathy of the gaze. They dress-up the poetic synthesis of contraries to “mask” and “unmask” , veil and unveil.
The materials are wood, cardboard and canvas like selected packaging of such valuable goods as are the underlying pulsions of one’s being.
His figures “unraved” and “stratify” our identity crisis lived as a collection of partial visions, like “living cloning of ourselves”. They depict a “reality” that is tamed by the method of persuasion of the images that, by now we know, don’t “imitate” any more but “are”, tout court, “reality” itself.
What is, therefore, the aim, the sense of these works ? Let us say, meanwhile, that they don’t necessarily have to have one, since art needs no justifications nor intent for it’s use. And yet, I really think that Lucio Rossi, with his artistic creativity wants to redeem, for himself and for us, a reserve of vivid availability towards the naturalness of being, a virgin territory, void of censorship and fear to recuperate the innocence of feeling. That is to say, at last “being” and “appearing” in the same mysterious and plural thruth of the image; a thruth which is dangerously close to life as emotional rhythm of what we initially referred to as “a declination of the manifold”.
Italo Evangelisti